I cambiamenti demografici e il mutamento delle strutture familiari hanno messo in discussione la “capacità di welfare” delle famiglie, sinora il principale ammortizzatore sociale. L’allungamento dell’aspettativa di vita amplia la schiera di generazioni “sandwich”, che da un lato devono prendersi cura dei propri figli, dall’altro assistere genitori anziani e non autosufficienti. La spesa pubblica per long term care ammonta all’1,9% del Pil: circa i due terzi sono erogati a soggetti con più di 65 anni, il 90% è costituito in parti praticamente uguali da spesa sanitaria e indennità di accompagnamento. Alla luce di queste premesse, Il welfare aziendale può costituire un motore per l’economia del nostro paese?
La risposta è Sì, secondo Assoprevidenza e Itinerari di Secondo Welfare che, in collaborazione con Percorsi di Secondo Welfare hanno realizzato un Quaderno dove si sostiene che il welfare aziendale possa costituire un traino importante per la nostra economia, a patto di unire gli sforzi verso un “welfare mix” che veda il contributo di Stato, parti sociali e terzo settore, per un rinnovamento e una modernizzazione dei sistemi di assistenza.
Secondo i curatori del Quaerno, l’implementazione di nuove e più attuali politiche di welfare gioverebbe sia alle aziende, che andando incontro alle esigenze dei dipendenti possono incrementare la produttività, sia allo Stato, che oltre a contenere le spese sanitarie e di welfare pubblico avrebbe ricadute positive sull’occupazione, anche attraverso il potenziamento delle strutture del terzo settore.
Il welfare in azienda può infatti creare un circolo virtuoso fra benessere dei lavoratori e maggiore produttività, ed essere visto come un vero e proprio investimento. Anche in Italia, da un’idea di assistenza percepita come “dono”, si va progressivamente verso una concezione più moderna, che vede il welfare aziendale meritevole di condivisione paritetica tra le parti per una crescita economica condivisa.
L’ultima legge di Stabilità, rilevano i curatori del Quaderno, definendo la nuova disciplina del premio del risultato e modificando la relativa normativa fiscale, consente di superare il limite della volontarietà, ampliare il paniere dei servizi contemplati (in particolare per la cura dell’infanzia e la non autosufficienza) e favorire lo sviluppo di nuovi strumenti che possano facilitare la diffusione del welfare anche tra le piccole e medie imprese.
Circa i vantaggi dell’utilizzo di parte del premio di produttività per la realizzazione di una copertura di non autosufficienza anche dopo il pensionamento, consentendo altresì il finanziamento ai fondi pensione, la nuova regolamentazione è soprattutto efficace per le imprese con oltre 15 dipendenti, mentre restano al palo le microimprese (il 95% del totale) a causa dell’assenza di rappresentanti sindacali e della difficoltà di confezionare i voucher in maniera coerente con i desiderata dei singoli datori e lavoratori. A questa lacuna occorrerà porre rimedio, altrimenti quasi la metà dei dipendenti verrebbe esclusa dai benefici.
Una possibile soluzione per ottimizzare l’utilizzo del welfare potrebbe essere rappresentata dall’adozione di un metodo per definire la tipologia delle prestazioni preferite da dipendenti e per la gestione e il monitoraggio delle forme di welfare, evidenziando l’importanza di un corretto modello di governance che consenta di individuare, in maniera chiara, attribuzione di ruoli e responsabilità dei vari fornitori di servizi coinvolti. Infine, una delle priorità del welfare aziendale dovrebbe essere quella di incentivare l’offerta di lavoro femminile, alleggerendo le famiglie dallo svolgimento dei compiti di cura domestica, attraverso il rafforzamento dei servizi per l’infanzia e per la long term care.