Secondo il disegno del decreto i futuri inceneritori andranno a costituire “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale” andando così a creare una corsia preferenziale per questa tipologia di impianti. Gli inceneritori potranno quindi godere di autorizzazioni più veloci, mentre rispetto ad ora le regioni avranno molto minor potere decisionale. Inoltre, sarà rafforzata la protezione dei siti contro le proteste dei cittadini.
Lo stesso schema, secondo lo Sblocca Italia, viene replicato per le trivellazioni petrolifere e gli impianti di stoccaggio dei gas.
Peccato che gli impianti già funzionanti o attivi da poco, come quello di Parma, si trovino in grande difficoltà poiché grazie soprattutto alla raccolta differenziata non hanno più i rifiuti dal territorio che li ospita e sono costretti a cercarli da altre regioni.
E lo stanno facendo utilizzando proprio lo Sblocca Italia che smonta il condivisibile principio di prossimità, moltiplicando i viaggi dei rifiuti urbani da una parte all’altra del paese e permette anche di riautorizzare gli impianti sul carico termico massimo, aumentando i quantitativi di rifiuti da bruciare.
Insomma, il governo non ritiene strategica la raccolta differenziata e, nonostante gli alti costi, i rischi ambientali e le indicazioni comunitarie che spingono verso il superamento della logica dell’incenerimento, decide di investire sulla combustione dei rifiuti.
Nel corso del 2014 in Italia sono state incenerite 6 milioni di tonnellate di rifiuti. A questi 6 milioni andrebbero aggiunte le le 730 mila tonnellate teoriche dei sei impianti già autorizzati (uno a Firenze, uno in Puglia, uno in Calabria e tre nel Lazio). Secondo il governo, però, non bastano: bisogna bruciare altri due milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti l’anno (+37%) e per farlo servono 12 nuovi impianti (i due in Sicilia avranno capienza da 350mila tonnellate l’uno).