LE NUOVE FATTISPECIE DI REATO AMBIENTALE: COME TUTELARSI

I nuovi reati contro l’ambiente, dall’inquinamento al disastro ambientale, sono stati inseriti nel Codice Penale il 29 maggio scorso.
La legge 68/2015 va a ridisegnare la tutela penale dell’ambiente, dove finora il concetto di colpevolezza era sempre rimasto in secondo piano, a beneficio del predominante sistema delle contravvenzioni previste dal decreto legislativo 152/2006 che di fatto annullava la distinzione fra dolo e colpa, rilevata solamente ai fini della commisurazione della pena.
L’ambiente è un bene comune da difendere e non una risorsa da sfruttare senza limiti. Finalmente, con la nuova legge si è costruito un quadro normativo moderno a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini e dove il dolo diviene a tutti gli effetti un protagonista del diritto ambientale.
L’obiettivo principale della nuova legge sull’ambiente non è solo l’intervento con sanzioni penali a cose fatte, ma la prevenzione dei danni alla salute e all’ambiente prima che i fatti dannosi avvengano. Certo, nessun provvedimento è mai esaustivo e ogni riforma è perfettibile, ma va ricordato che circa la criminalità organizzata la legge prevede aggravanti per mafia e raddoppio della prescrizione per delitti ambientali.
Entrando nei dettagli, il Codice Penale si arricchisce quindi del capitolo riguardante i “delitti contro l’ambiente” per i quali è previsto il carcere, un allungamento dei termini di prescrizione e pene più severe. Sono cinque le nuove fattispecie di reato inserite nel Codice:

1.Disastro ambientale : prevede condanne da 5 a 15 anni di reclusione per chi abusivamente altera gravemente o irreversibilmente un ecosistema o compromette la pubblica incolumità. La pena aumenta se il disastro è commesso in aree vincolate o a danno di specie protette e ridotta invece fino a un massimo di due terzi se il reato è commesso per colpa e non per dolo.

2. Inquinamento ambientale: prevede condanne da 2 a 6 anni e una multa da 10mila e 100mila euro per chi abusivamente compromette o deteriora in modo significativo e misurabile la biodiversità o un ecosistema o la qualità del suolo, delle acque o dell’aria. La pena viene ridotta a due terzi in caso di assenza di dolo, mentre aumenta in caso di aggravanti quali: lesioni personali (fino a 7 anni di reclusione); lesioni gravi (da 3 a 8 anni); lesioni gravissime (da 4 a 9 anni); morte (da 5 a 12 anni) in caso di morte della persona. Ove il resto provochi eventi lesivi plurimi e a carico di più persone si applica la pena più grave aumentata fino al triplo, fermo restando tuttavia il limite di 20 anni di reclusione. Anche in questo caso la pena è ridotta fino ad un massimo di due terzi se il reato è commesso per colpa e non per dolo.

3. Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività: è punito con la reclusione da 2 a 6 anni e una multa fino a 50mila euro chi abusivamente “cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona materiale di alta radioattività”.

4. Impedimento del controllo: pena prevista da 6 mesi a 3 anni per chi nega o ostacola l’accesso o intralcia i controlli ambientali.

5. Omessa bonifica: punisce con la reclusione da uno a 4 anni e multa fino a 80mila euro chiunque avendone l’obbligo non provvede alla bonifica e al ripristino. Diminuzione della pena dalla metà a due terzi per chi invece si impegna a evitare che l’attività illecita sia portata a conseguenze ulteriori o provvede alla messa in sicurezza, bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, “prima che sia dichiarata l’apertura del dibattimento di primo grado” (ravvedimento operoso).

Se è vero che negli anni le aziende italiane non hanno considerato l’ambiente come un fattore rilevante all’interno della gestione aziendale e sottostimato il rischio, è altrettanto vero che il danno da inquinamento può colpire con intensità e modalità diverse tutte le imprese.
Con queste premesse sarebbe logico immaginare che la maggior parte delle aziende, per tutelarsi da un rischio così importante, ricorrano alla copertura assicurativa: in realtà in Italia le aziende che si assicurano per i danni da inquinamento con una polizza specifica sono meno dell’1% del totale, circa il 70%-80% ha una polizza RCG con l’estensione all’inquinamento cosiddetto “accidentale”, mentre il restante non ha nessun tipo di copertura.
Inoltre, con la nuova legge le conseguenze potrebbero essere catastrofiche per le imprese. Rivolgersi a un broker per dotarsi di una copertura assicurativa personalizzata per il rischio ambientale dovrebbe diventare una consuetudine. La polizza inquinamento è uno strumento importante a disposizione delle imprese che possono trasferire almeno una parte del rischio ambientale.