Lo scorso 23 giugno i cittadini del Regno Unito hanno deciso per l’abbandono dell’Unione Europea. Un evento che apre scenari di incertezza e cha ha già fatto una prima vittima: quel primo ministro Dave Cameron che aveva voluto il referendum, mentre in Europa il divorzio del Regno Unito invece di ricompattare i paesi alimenta le divisioni. Dopo i disaccordi su crescita, rigore, controllo di bilancio, unione bancaria e migranti si ripropone la linea Maginot tra Francia e Germania su come salvare e rilanciare l’Europa. Con più integrazione economica e solidarietà, come vorrebbero i francesi? Con maggiori trasferimenti di sovranità e prudenza di bilancio, come al solito auspicano i tedeschi? Meglio accelerare e spingere al più presto gli inglesi alla porta, come si chiede al sud? Prendere tempo, evitare di precipitarsi, avanzare insieme, come si propende al nord? Per ora solo il Parlamento Europeo ha dimostrato di avere le idee chiare: inutile temporeggiare, tempi rapidissimi per il recesso britannico.
A bocce ferme, si è cominciata l’analisi del voto britannico. Tra gli economisti prevale la tesi che il referendum si sia fondato su una errata valutazione dei rischi, lasciando invece ampio spazio a un populismo che considera la UE come la fonte di tutti i problemi interni: malessere sociale conseguente alla crescente diseguaglianza interna, insofferenza della classe media che perde progressivamente ricchezza.
La partita Regno Unito – Unione Europea si è giocata sostanzialmente su cinque diverse tematiche. In quattro delle quali, la permanenza nell’UE sarebbe stata la soluzione migliore, a partire dal peso dei contributi all’Unione sul bilancio statale, in considerazione del beneficio di una riduzione dei contributi che ha permesso al Regno Unito di versare meno, ad esempio, di Italia e Francia, mentre la copertura della quota di sconto concessa alla Gran Bretagna è stata ripartita sugli altri paesi dell’Unione.
Il secondo argomento chiamava in causa l’eccessiva deregolamentazione di alcune linee politiche di Bruxelles, giudicate eccessive da Londra. Ragionamento pretestuoso, considerato che il Regno Unito è uno dei Paesi UE meno burocratizzati. Il terzo aspetto riguardava la scarsa influenza della Gran Bretagna sul Consiglio europeo. Peccato che l’uscita dall’UE comporterà ora un maggiore isolamento di Londra che invece avrebbe avuto maggiori benefici cercando di cambiare gli equilibri agendo dall’interno delle istituzioni.
La Brexit non porterà alcun vantaggio neanche al commercio con l’estero, considerato che l’80% dei traffici inglesi avviene con paesi che hanno stipulato accordi direttamente con l’Unione e ai quali la Gran Bretagna si attiene. Unico tema parzialmente a favore dell’uscita è quello dell’immigrazione: non reggerebbe, la critica del peso degli immigrati sulla spesa pubblica (anche in GB i contributi del lavoro dei “nuovi europei” sono fondamentali), quanto piuttosto ha maggior validità l’aspetto della sicurezza, in considerazione delle gravi debolezze nella collaborazione tra forze di polizia europee.